Una bambina di 11 anni,
affetta da sindrome di Down,
giocava sulla spiaggia con un bambino.
affetta da sindrome di Down,
giocava sulla spiaggia con un bambino.
“Sei disabile?” le chiese. “No, sono Daisy” rispose
e continuarono a giocare.
da NESSUNO ESCLUSO -UNICEF ITALIA-
“Non accettarmi come sono” è il grido di
disperazione di centinaia di individui costretti,
a causa di un atteggiamento di accettazione
passiva (non si può cambiare…),
di una cosiddetta tolleranza,
a una qualità di vita relativamente bassa.
Reuven Feuerstein
Ho voluto riportare in questa sezione due brani tratti da due differenti testi che sembrano rappresentare due atteggiamenti contrari che si possono assumere nei confronti della disabilità e dei disabili in genere. Nel primo caso[1], infatti, si vuole suggerire un atteggiamento di totale accettazione nei confronti di chi si trova in una situazione di handicap per poterne evitare l’esclusione o qualsiasi forma di discriminazione. Nel secondo brano[2], al contrario, si consiglia di non accettare lo stato di disabilità poiché è necessario impedire che la tolleranza si trasformi in un alibi all’emarginazione, tanto più che è possibile cambiare, favorire un miglioramento tale da permettere a qualsiasi individuo portatore di handicap di “inserirsi in un ambiente normale e di possedere una buona dose di indipendenza”[3].
Quale atteggiamento privilegiare?
In che cosa si concretizzerebbero l’uno e l’altro atteggiamento?
Penso che di fronte ad una persona come Daisy e alla sua risposta non si possa che essere d'accordo con lei: l'accettazione dell'handicap deve essere il primo passo. Secondo me anche l'handicap più grave, infatti, sarà sempre associato a qualche abilità... ecco perchè preferisco parlare di diversamente abili!
RispondiEliminaGrazie, innanzitutto, per il tuo intervento!
RispondiEliminaSono d'accordo sul fatto che è inizialmente necessario accettare la situazione di handicap ed accogliere la persona che ne è portatrice nella sua interezza ma credo anche che non si debba pensare che questo sia sufficiente per consentire alla persona con handicap di vivere "una vita di qualità" o di entrare a far parte, per quanto possibile, della società civile in qualità di "cives", di cittadino attivo. Penso, dunque, che i due brani che, come ho già detto, sembrano rappresentare posizioni assolutamente contrarie, rappresentino in realtà due facce della stessa medaglia.
Per quanto riguarda, invece, la questione della terminologia ho trovato molto interessante un articolo che ho linkato in uno dei prossimi post. Se vuoi...