lunedì 10 gennaio 2011

RICORDI - SOFIA

Questa è la sezione del blog che ho deciso di dedicare ai ricordi: a bambini che ho conosciuto, ad alcune situazioni vissute, a percorsi didattici messi in atto… E vorrei farlo con un occhio critico, con l’occhio “emozionato” di chi ha incontrato “Emozione di Conoscere e Desiderio di Esistere”. 


SOFIA 

Sofia è una bambina di sette anni affetta da grave tetraparesi spastica da sofferenza perinatale con componente distonica[1]. È una bambina molto bella, con grandi occhi sorridenti. Sofia non parla, o almeno non lo fa con le parole e neppure con i gesti poiché le sue manine sono contratte, ed in generale non controlla molto bene i movimenti del corpo. 

Perché appena ho ideato questa parte del blog ho pensato a lei? 

Probabilmente perché ho un bel ricordo di lei, dei suoi compagni, delle colleghe, di quel periodo… Si respirava un bel clima di grande collaborazione e questo ci ha permesso di “fare tanto”… ma oggi ho un occhio più “emozionato” e questo mi porta a dire che avremmo potuto fare di più, agire diversamente. 




E a proposito della sua classe? 

Sofia frequentava una piccola scuola di campagna con circa quaranta alunni ed era inserita in una 2^ elementare composta da 10 bambini. Quella era una situazione ideale poiché tutti i bambini si conoscevano e la conoscevano, era molto benvoluta e lei questo lo sentiva: frequentava la scuola molto volentieri. Al contempo però tutti erano abituati alla sua presenza, si avvicinavano a lei per farle qualche coccola ma niente di più. 

Andiamo per ordine. Parliamo ancora un po’ di Sofia, dei suoi “sa fare” e delle sue difficoltà. 

Ecco il primo punto dolente! 

All’inizio di quell’anno scolastico, parlando coi genitori, le insegnanti, gli operatori A.S.L., o anche semplicemente consultando il fascicolo personale di Sofia si rilevò sostanzialmente che: 

“Sofia non cammina, ed è in grado di mantenere la posizione seduta solo se sistemata sull’apposita sedia. Non possiede il controllo del capo (indossa un collare che la aiuta a mantenere la posizione eretta del capo) e del tronco. Le mani sono spesso contratte e non le utilizza in maniera finalizzata. Non si conosce con precisione quale residuo visivo possieda Sofia. Gli altri sensi, invece, sembra non siano compromessi. Non ha raggiunto il controllo sfinterico.”[2]

Per ciò che riguarda, invece, i suoi “sa fare” ed i suoi interessi ci si limitò ad evidenziare che: 

“Sofia non ha sviluppato il linguaggio orale ma esprime gioia o disagio con pianto o risa ed attraverso la mimica facciale. Mostra molta attenzione per tutto ciò che è sonoro (voci, musica, canzoni, suoni,. rumori…) e mostra anche un certo interesse per le stimolazioni di tipo tattile, soprattutto se prevedono l’utilizzo delle mani, anche se deve essere aiutata nell’esplorazione degli oggetti proposti.” 

Ebbene oggi io so che c’era di più. 

Sulla base di queste informazioni che obiettivi ci siamo date? 

A questo proposito ecco uno stralcio dal PEI (sezione OBIETTIVI). 

AREA DELLA COMUNICAZIONE 
Particolare attenzione verrà data alle attività che riguardano questa area di apprendimento affinché Sofia possa, a lungo andare, riuscire a produrre risposte adeguate a richieste precise. Verranno utilizzate domande o affermazioni ricorrenti associate a precise azioni in modo che Sofia possa comprendere, con l’andare del tempo, tali associazioni (Ti canto una canzone? Tira su la testa…). 
AREA DELLA MOTRICITÀ 
Importante sarà operare sul miglioramento della motricità fine e sulla possibilità, dunque, di afferrare gli oggetti e spostarli in maniera autonoma. 
AUTONOMIA 
Le autonomie a cui mirare per A. riguardano soprattutto l’area della comunicazione e la possibilità per lei di esprimere in maniera più continuativa i propri stati d’animo ed i propri bisogni attraverso le espressioni del viso. Molto importante sarà anche lo sviluppo della motricità fine e della possibilità di portare oggetti alla bocca. 

In sintesi si decise, in stretta collaborazione con gli operatori della A.S.L., di insistere sulla sua possibilità di comunicare poiché si riteneva che Sofia non fosse in grado di rispondere adeguatamente con la mimica agli stimoli proposti. Mi spiego meglio: si riteneva che nel caso in cui si dicesse a Sofia “adesso facciamo ginnastica” lei non fosse in grado di comprendere e ,dunque, di reagire adeguatamente con l’espressione del viso (a lei non piaceva molto fare la sua ginnastica quotidiana!). 

Si pensava anche che non potesse portare gli oggetti alla bocca poiché: 

Pone spesso le braccia nella cosiddetta “posizione dello schermidore” (quando volta il capo da un lato tende ad estendere il braccio verso cui volge il capo ed a piegare l’altro). 

Secondo gli operatori della A.S.L, dunque, si doveva insistere su questi due aspetti ma “senza aspettarsi grandi risultati”. 

Come si decise di intervenire? Con quale percorso di insegnamento apprendimento? 

Si ipotizzò insieme alle altre insegnanti di classe di avviare un percorso di insegnamento-apprendimento incentrato sui sensi che poteva “essere utile anche ai compagni di classe di Sofia” all’interno di un progetto denominato Gioch…insieme. 

Il progetto Gioch…insieme aveva come protagonista principale Sofia. Durante la settimana erano previsti dei momenti di attività per piccolo gruppo (di solito due) al quale partecipavano, oltre a Sofia altri suoi due compagni a turno. In queste occasioni venivano proposte attività incentrate sull’area sensoriale soprattutto attraverso la presentazione di giochi di Kim che tutti i bambini, compresa Sofia, provavano. Si trattava di assaggiare dei cibi, ascoltare suoni o rumori, sentire dei profumi, toccare degli oggetti ad occhi bendati e di riconoscerli ed osservare le reazioni di ognuno. 

Cosa pensavamo di ottenere? 

Queste attività oltre ad essere lo spunto di riflessione sui cinque sensi per i bambini della classe, rappresentavano per loro anche l’occasione di avvicinarsi maggiormente a Sofia occupandosi di lei, proponendole le varie stimolazioni sensoriali (i compagni le facevano toccare oggetti di varie consistenze, o assaggiare diversi alimenti, oppure suonavano semplici strumenti musicali per lei…), ma, contemporaneamente, consentivano loro di capirla meglio mettendosi almeno un po’nei suoi panni. I bambini, infatti, come prevedono i giochi di Kim, erano bendati e non potevano vedere come Sofia. 


Queste attività permettevano a Sofia di entrare maggiormente in contatto con se stessa e le proprie sensazioni di esprimerle con smorfie o sorrisi, di prendere coscienza di sé e del suo corpo ed al contempo di entrare in relazione coi compagni.

Che limiti riconosco oggi a questa attività?


Erano attività messe in opera solo due, al massimo tre volte a settimana. La dimensione laboratoriale, al contrario, prevede che l’intera organizzazione scolastica venga modificata, ponendo al centro i bambini,evitando di fare “magie”. Per Sofia e i suoi compagni, invece, partecipare a questi giochi di Kim era come essere i protagonisti di un gioco di prestigio: improvvisamente, infatti, comparivano suoni, sapori, odori… Tutto era slegato, staccato dalla realtà. Se, poi, è vero che il laboratorio prevede un mago dei venti che attira i bambini nei suoi vortici, motivandoli ad apprendere, interessandoli, facendo scaturire in loro l’emozione di conoscere, in questo caso si può parlare al massimo di un incantatore capace di richiamare l’attenzione dei bambini di tanto in tanto. Quante occasioni perse!

Come avremmo potuto legare queste attività alla quotidianità? 


Mi limito a pensare alle attività riguardanti il gusto. In quella scuola i bambini frequentavano un tempo pieno e mangiavano a mensa ogni giorno, c’era una cucina interna che emanava profumi e suoni oltre che, ovviamente, preparare pietanze che potevano essere assaggiate se non addirittura preparate. È vero che Sofia non mangiava a scuola ma è anche vero che noi insegnanti non abbiamo spiegato adeguatamente ai genitori il valore educativo del pasto, del consumarlo insieme ai compagni e con una specifica attenzione alla stimolazione sensoriale e comunicativa.

Insomma quelle attività non sono servite a niente! 


Questo non mi sento di dirlo. Al termine di ogni momento Gioch…insieme, dopo i giochi di Kim, dopo essere stati per un po’ tutti insieme sui cuscinoni a giocare altro, ancora seduti nell’angolo morbido che avevamo allestito per Sofia, i bambini e le insegnanti ripensavano a quello che era stato fatto, alle loro reazioni ed in particolare a quelle di Sofia. Spesso, poi, i bambini o le insegnanti riportavano i loro pensieri per iscritto: ecco cosa ha detto Sandro.

“Oggi abbiamo giocato con il gusto. Abbiamo assaggiato anche un limone. Che ridere quando Sofia lo ha assaggiato. Ha fatto una brutta smorfia e quando la maestra ha cercato di farglielo assaggiare ancora ha voltato la testa. Per me lei ha capito la domanda della maestra che ha detto:<<Vuoi ancora limone?>>”

Che cosa successe allora? 


Anch’io ricordo quell’episodio e ricordo anche che ne parlai alla mamma di Sofia e lei mi disse che ogni volta che le faceva i codini o le trecce e lei glielo preannunciava Sofia si metteva a piangere perché non le piaceva essere pettinata. Questo fu lo spunto per riflettere sulla possibilità di comprendere e di comunicare di Sofia. Da quel momento insistemmo molto di più sulla ritualità. Già dall’inizio dell’anno scolastico, infatti, avevamo organizzato la giornata secondo delle routine che erano scandite con suoni o canzoncine. La giornata scolastica, ad esempio, iniziava dopo il suono della campanella avviato in un primo momento dai compagni di Sofia poi da Sofia stessa. Lei veniva aiutata da un compagno che le afferrava la mano, isolava il dito indice e le faceva premere il pulsante che faceva suonare la campanella. A lungo andare ci accorgemmo che già quando le veniva afferrata la mano Sofia sorrideva! Insomma Sofia poteva comunicare molto di più di quello che si era pensato fino a quel momento ma doveva essere coinvolta, attratta dal ciclone, per continuare con la metafora del vento. Purtroppo , però, in quella classe soffiava solo un po’ di brezza di tanto in tanto.

E peggio ancora, non le avevamo dato fiducia!

 
Effetto Pigmalione[3]?

Sì, effetto Pigmalione. E aveva colpito tutti, anche la mamma che non ci aveva mai raccontato l’episodio dei codini perché le avevano detto più volte di non avere troppe aspettative. E dire che conoscevo gli studi di Jacobson e Rosenthal! Forse, però, dopo l’episodio del limone ed il colloquio con la mamma cominciammo ad aspettarci risultati differenti da Sofia, mettemmo da parte il “c’è poco da fare”, insomma fummo tutti presi dal Pigmalione positivo. Anche i bambini stimolavano di più Sofia e si creò, davvero, attorno a lei un’atmosfera socio-emotiva più calda. 

Allora qualche risultato lo avete raggiunto? 


Sì, ma tutto è avvenuto molto più lentamente, in maniera innaturale, a fatica. Se davvero avessimo proposto una dimensione laboratoriale non avremmo perso tanto tempo e tante opportunità!

Voglio aggiungere altro? 


Sì, vorrei aggiungere altro ma finirei per ripetermi. Vorrei parlare della motricità fine e del fatto che Sofia, secondo gli specialisti, non sarebbe mai riuscita a portare gli oggetti alla bocca a causa della “posizione dello schermidore” ma che in realtà riusciva a mangiare per intero una certa barretta di cioccolato che le piaceva molto. Oppure potrei parlare della seduta di ginnastica quotidiana quando, tra le altre cose, Sofia doveva esercitarsi a stare seduta da sola, così, senza motivo. Insomma i concetti sono sempre gli stessi: tutto troppo slegato, innaturale, poco coinvolgente e poca fiducia in lei!

E poi?

E poi è finito l’anno scolastico!


[1]Tratto dalla Certificazione 

[2] Le parti evidenziate sono state tratte dal PEI

[3] L'effetto Pigmalione (anche detto effetto Roshental dal nome di colui che, insieme a Jacobson, portò avanti gli studi che portarono alla teoria che segue) può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaurerà così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato. Al contrario si può instaurare anche un circolo virtuoso, quando si crede che un bambino sia particolarmente dotato i comportamenti, le attenzioni dell’insegnante lo faranno migliorare notevolmente. "L'effetto Pigmalione" può manifestarsi non solamente nell'ambito scolastico, ma anche in altri contesti, come quello familiare nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppino rapporti sociali. Quindi le aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti.

1 commento:

  1. Salve, sono un insegnante di sostegno (primaria) con poca esperienza e proprio questo anno la dirigente ha deciso di affidarmi G. un bambino che pare abbia quasi tutte le caratteristiche di Sofia. Mi piacerebbe tanto avere un confronto con Lei e dei consigli su come comportarmi e cosa poter fare con questo bambino per farlo sentire bene e incluso nel gruppo classe....mi ha fatto piacere leggere questo articolo perché mi ci sto rivedendo proprio.
    Il mio nome è Federica Ciaroni e mi può trovare su Facebook...sarei felicissima se mi contattasse in pvt...grazie mille! un abbraccio.

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